Kariri do Sertão, Torè e vino Jurema
Konso e Wirarìka, in sussistenza agraria
Semina-raccolto, di mais Hikuri azzurro
Sardi e Latini, gran legumi dappertutto
sommario quartine
a | b
semina-raccolto, di mais hikuri azzurro |
c | d | ||||
I Konso contadini, portan la terra in loco In lor terrazzamenti, entro muretti in gioco Gli steli mais e sorgo, dopo raccol di spighe Tagliati son disposti, a fasci messi in righe Muri a secco Konso, interrompono corrente Di fiumi assai veloci, e permetton sedimenti di materie trasportate, nei giardini terrazzati che annaffiano d’estate, orti ormai assetati Legumi di ogni tipo, cereali sorgo e miglio Il mais dove c’è l’acqua, assiem kat e caffè Poi i tuberi preziosi, permetton sussistenza In caso siccità, manioca è new presenza
Avvien la sussistenza, prima d’altra piena Ch spazzerà via tutto, il lavoro a canti lena In canali fra terrazze, dirottan acqua eccesso per uomini e animali, son pure vie d’accesso Donne fan corvèe, marciando di fra i pozzi Ogni sorgente ha un Ela, ch’abita e protegge Che a una famiglia umana, concede dialogare Inquinamenti e abusi, denuncia e fan pagare Wiràrika o Huichole, o indio della Sierra Tra gole aridi piani, arrangian loro festa 2 son le stagioni, la secca e quel di piogge Adoran molti Dei, nuove e antiche fogge
Derivan loro storia, da nomadi alla caccia Cervo lor emblema, s’accosta a trina faccia Poi Ikuri del deserto, a sfuggir nemici assai Li stanzia in nuove terre, e li sposa al Mais
Insegna a loro guide, a far pellegrinaggio Ogn’anno a Wirikòta, a rinnovar passaggio La caccia a hikuri cervo, rinnova mais e fior Con riti a garantire, ogni cambio di stagion
Fratello Kauyumàri, ci guidi e fai sciamani Insegnaci altro canto, a curarci oggi e domani Fuor lusso e depressioni, pronti a sussistenza Rinnova la memoria, e insegnaci a far festa La casa è pietra e paglia, la porta è piccolina Al centro è il focolare, con stuoia a lei vicina Un piatto in terracotta, per cuocere tortillas Polenta e fagottini, e zucche per stoviglia
L’indio Huatakàme, ci insegna a coltivare Mais bimbe divine, tra sterpi da spiazzare Dividi campo a croce, a debbio centro e lati Azzurro Mais al centro, gli altri ai cardinali
La coltura a Debbio (incendio che libera il terreno dal soprassuolo spontaneo), è agricoltura di rapina o pratica di sfruttamento sostenibile delle risorse naturali. I Maya applicavano una rotazione colturale che prevedeva la coltivazione degli appezzamenti sottratti alla foresta pluviale ad intervalli di pochi anni, al termine dei quale gli appezzamenti venivano restituiti alla foresta e spostati in altre aree. Questa pratica, permette di ridurre l'impatto del debbio sulla produttività dell'ecosistema fornendo, al contempo, terreni costantemente fertili per l'agricoltura. Yanomami e altri popoli nativi , applicano il debbio ogni 2 anni allo scopo di reintegrare in forma minerale parte dei nutrimenti immobilizzati. Negli ambienti tropicali soggetti ad elevata piovosità, costante o stagionale, i suoli sono sterili e la conservazione degli elementi nutritivi è garantita dall'immobilizzazione nella biomassa vivente. I resti degli animali e dei vegetali morti sono soggetti a rapida decomposizione e mineralizzazione e gli elementi nutritivi sono prontamente reintegrati dall'organicazione grazie alla biocenosi autotrofa. L'incendio, evento a forte impatto, agisce riducendo drasticamente la popolazione degli organismi autotrofi, e nel contempo, lasciando nel terreno una quantità eccessiva di elementi minerali. Il risultato è un temporaneo innalzamento della fertilità chimica del suolo che il dilavamento prodotto dalle piogge tropicali, nel tempo, sottrae all'ecosistema riducendone la potenziale produttività. Nei clima freddo-umido su terreni torbosi dove il tasso di mineralizzazione della sostanza organica è molto basso e gli elementi nutritivi tendono ad accumularsi nella sostanza organica indecomposta, il debbio allora, ottiene il risultato di ridurre la sostanza organica e mobilizzare gli elementi nutritivi rendendoli in forma minerale disponibile alle piante. Negli ambienti mediterranei come Sardegna e Grecia, l'incendio dei pascoli (sfruttato a cicli di quattro anni) ha lo scopo di arricchire la percentuale di copertura in leguminose per aumentare il tenor proteico dell'erba pascolata e limitare gli effetti negativi dell'interramento di residui colturali ad alto rapporto carbonio/azoto. Le leguminose foraggio spontanee, (mediche annuali e trifogli) producono spesso un'elevata percentuale di semi duri, il cui fine biologico è garantire la sopravvivenza della specie e una pronta copertura dopo il passaggio di un incendio. Questi semi restano in dormienza per un numero indefinito di anni, finché non sono sottoposti all'azione dell'alta temperatura. Le leguminose soffrono la competizione delle graminacee, i cui ritmi di accrescimento e di diffusione sono più intensi in aree difficili come le steppe e praterie delle regioni tropicali e subtropicali a piovosità stagionale. Il passaggio di un incendio provoca un temporaneo vantaggio per le leguminose, in grado di esprimere il loro potenziale riproduttivo, a scapito delle graminacee. Dopo i primi anni, la competizione tende a riequilibrare la composizione floristica a favore delle graminacee e delle composite, perciò si rende necessario il ritorno dell'incendio. L'incendio dei residui colturali invece, ha scopo fertilizzante dove la massa organica residua ha un rapporto carbonio azoto eccessivamente alto, per cui la biomassa tende ad accumularsi nel terreno in forma indecomposta come nel caso della paglia dei cereali, degli stocchi del mais, dei residui di potatura. Una parte del materiale organico viene umificato sfruttando l'azoto minerale presente nel terreno e ciò comporta una riduzione temporanea dell'azoto prontamente disponibile a scapito della coltura in successione. tale inconveniente giustifica la fama di coltura depauperante attribuita ai cereali. Il debbio è usato pur come pratica fitoiatrica, per l'eliminazione di organismi nocivi alle colture, presenti in residui o in strati superficiali del terreno come forme quiescenti (spore, uova, pupe)
[1] I Konso alle pendici meridionali dell’altipiano etiopico, sviluppano un agricoltura di sussistenza sui terreni ricavati, mediante terrazzamenti,dai fianchi scoscesi delle colline. L’integrazione col bestiame allevato in stalla, fornisce loro il necessario letame acceleratore. Qui la variabilità climatica è tale che qualsiasi regola fissa per l’agricoltura diviene inutile e controproducente. Solo un modello fluttuante dà frutti e permette di sopravvivere. Neanche l’imperatore Menelik riuscì a imporre l’aratro di legno tirato da buoi poiché ciò produceva il crollo dei muretti, la perdita del terreno e la carestia. La costante cura permette a tali strutture a secco di sopravvivere e funzionare nel momento del bisogno; spesso i muretti cascano per mancanza di erbe (bruciate dal sole in regioni aride) e radici in gradi di imbrigliare la terra; le radici dei cespugli che sopravvivono alla siccità, non bastano a trattenere tutto il fronte del muretto. Oggi il governo federale post Menghistu, permette ai villaggi di ristabilire il sistema tradiz. defraudato dei poteri autoctoni, nella conduzione della cosa pubblica, nonostante le rotture provocate dall’economia di consumo introdotta a forza dall’esterno. Le credenze negli Spiriti delle acque si perdono e l’acquedotto cittadino non paga del prezzo. L’acqua di ogni polla e fonte è preziosa e gli spiriti son ancora lì a regolarne il flusso in base alla preziosità della devozione che parla al mormorio delle loro acque.
[2] Dove il terreno è alluvionale e non vi sono sassi, il contadin Konso, pone steli di mais a monte dei muretti e vi sparge sopra terra per farne collinette ed innalzare il livello d’acqua nel terrazzamento, mentre nella sabbia dei torrenti, pianta rami per consolidare un argine temporaneo che convogli una parte d’acqua verso una chiusa in pietra che regola la portata: quando il terrazzamento è riempito, la chiusa viene sbarrata con fango, sterpi e sassi in modo che il livello d’acqua non salga sino a livelli che comprometterebbero la tenuta degli argini che lo delimitano. Ogni contadin conosce dove l’acqua si accumula e permette ad alcune piante di resistere a lungo. Inoltre, poiché l’esposizione al sole durante i periodi secchi renderebbe sterile il terreno, i Konso proteggono le plantule con alberi di alto fusto (oipatta) le cui radici consolidano terreno e muretti e le fogli sono usate come foraggio per gli animali da stalla. Duran le stagione delle piogge si semina, il fogliame non viene tagliato e le plantule riescon sopravvivere perché ombreggiate. Superata la fase critica posson spogliare gli alberi delle loro foglie a favore degli animali. Il Ginepro d’alto fusto, delle foreste originarie, sopravvive protetto dalle famiglie capiclan, che lo tagliano solo per le cerimonie sacre. [3] Qui l’acqua scorre impetuosa 1/2 ore dopo pioggia battente
[4] Per i Konso, acqua e divinità son circolari, loro Dio supremo è dispensatore d’acqua, cantato e invocato in canzoni e cerimonie, affinché doni l’acqua e appiani i conflitti tra gli abitanti sull’accesso alle risorse idriche. Per ogni fonte esiste una famiglia custode che dialoga con lo spirito Ela (spirito protettore della sorgente), fuor d’ogni proprietà, essa ha compito di ascoltare le lamentele del folletto e riferirle alla comunità. Il modo di comunicazione è il sogno, di notte, dove il custode della fonte può ricevere la visita del folletto che ha urgenza di denunciare un abuso delle regole che gli uomini si sono imposte per convivere e ricevere il dono dell’acqua presso el loro abitazioni. Gli spiriti hanno fobie tutte riconducibili all’inquinamento, così le scarpe, nessun che si avvicini all’acqua, può tenerle ai piedi. Se la famiglia trascura il rapporto con lo spirito dell’acqua, quello invia dei segnali come prosciugamento, alghe, cambio di colore, animali e insetti presso la fonte, al fine di avvisare il custode a rendersi disponibile a un contatto con lo spirito che gli comunicherà quale interdizione è stata infranta e come la comunità possa rientrare nelle grazie dello spirito. Se la comunità si mostra insensibile agli avvertimenti, appaiono le condanne su fanciulle e bimbe frequentatrici delle acque (annegamento ecc.), a volte ci si ribella allo Spirito gettando vecchie pignatte nella fonte affinché esso vada via e la smetta di esigere un prezzo: il conflitto con la comunità ha imposto allo spirito di andarsene, per trovarne un’altra più disponibile. Se l’Ela lascia la sede, la polla spesso si esaurisce o si sposta in altro villaggio il quale, per riconoscenza, gli darà lo stesso nome.. La fontana che ogni pochi anni rinasce in diversi luoghi, è detta dagli antichi latini, Fons Nemina, cioè anemine, non collocabile in alcun luogo preciso. Così è Turania, polla periodica, capace di comparire e scomparire, attenuarsi o crescere, durante la stessa giornata, indipendentemente dal meteo o flusso maree.
[5] Il
pellegrinaggio dei Wiràrika alla ricerca della pianta della vita,
ripete le gesta di Marra Kwarri, primo loro legislatore e guida. Il
nostro-fratello-maggiore Tamàtz Kauyumàri ha dimora ai piedi del grande
albero fiorito (Hikuri-Mais albero della vita) nella sacra Montagna del
Sole. L’amaranto era il mais degli antenati. Sotto forma di ghirlande di
fiori e vortici d’aria, Dei e Dee si manifestano ai Wiràrika iniziati, essi
hanno conservato l’agguerrita natura e insaziabile appetito delle antiche
divinità dei cacciatori delle steppe; per nutrire, far crescere il mais e
accordare abbondanti raccolti, reclamano sangue animale, hikurì, riti e
feste. Hikuri, come i suoi cugini, è altamente sensibile alla musica e al
ritmo, nell’atmosfera nel tokipa, satura di fumo e incenso, trova riuniti
tutti gli elementi per poter manifestare le sue ipnotiche virtù. Il rustico
oratorio è rischiarato dagli improvvisi bagliori delle fiamme che sembrano
dirigere il carosello di ombre danzanti sul muretto circolare e fra i nodosi
rami del soffitto di paglia, ciò è molto propizio all’estasi sciamanica,
favorita dal costante consumo del medicinale
[7] Quando il fumo dei fuochi incontra il serbatoio delle nubi, allora
cadono le prime piogge. Il mais prima della semina è asperso con
acqua, i grani scelti, son seminati in spazio ritualmente delimitato,
indirizzando preghiere, omaggi d’offerte, digiuno, sonagli, canti e
musica ai numi tutelari del campicello, a pachamama e agli spiriti
delle bimbe-mais, per aiutarne il misterioso risveglio come la nascita
di un bimbo. Quan la pianta nutrice sboccia alla luce del giorno, è
fragile e delicata, specie nei primi 5 giorni, la sua anima può venir
ferita da vari nemici. Le bimbe-mais, allora, appaiono nei sogni dei
nativi sotto vari nomi (nomi dati poi ai figli) e questi, trepidanti,
seguono ogni fase dello loro sviluppo e le vedono con folte
capigliature già adolescenti (pannocchie), entrare nei templi
magazzino tokipa.
[8] Lophophora williamsii, piccolo cactus a forma di carota che
cresce spontaneo lungo il Rio Grande, viene ingerito fresco od
essiccato al sole (bottone). Masticato produce temporanea confusione,
sinestesia, visioni e sensazioni cinestetiche sul senso della vita
specie se in gruppi rituali. Dalla pianta è stata isolata la mescalina,
principio attivo antipiretico, capace di abbassare le febbri
[9]
INEYARÌ è la caccia,
MARRA il cervo da sacrificare unito al mais,
HIKÙ e
il cervo celeste il cui cuore è
HÏKURI cactus
[10]
Una pentola di bronzo, rame o ferro, parzialmente riempita d’acqua e
coperta da una pelle di daino tirato
[11] Molti canti sono privi di significato letterale
[12] Il
Roadman espone le ragioni dell’incontro, cura di un malato,
esequie od omaggi, nascita, nozze o altro evento di passaggio. Lui
Possiede il sacchetto di incenso di cedro in polvere con 44 bottoni di
peyote, accende le sigarette e il fumo sale trasportando i convenuti.
[13] lo spirito non è immaginario ma sentito in sinergia col tuo sentire.
L’assunzione rituale porta la mente alla ricerca di una sospensione da
ogni crudeltà della vita e visioni facilitan l’ingresso nel mondo
senza tempo dove si può parlare con defunti e antenati vicini e
lontani
[14] dopo l’offerta rituale della medicina, il Capo della Via avvia il canto
di mezzanotte, ogni partecipante che sente, canta 4 canti del peyote
ispirati nelle precedenti sedute, così tutt’insieme, confondon le voci
sin all’alba tra luci scoppiettanti e grida di animali lontani
[15] gli accessori, le regole e le strutture che verranno scelte saranno il
risultato di due fattori: _risorse che può offrire l’ambiente locale,
_ostacoli che si desidera rimuovere (blocchi emozionali,
empatico-relazionali, paure individuali e condizionamenti
socioeconomici). Le strategie consisteranno poi, nell’accettare tal
strumenti e relative entità, distinguerli da altri possibili strumenti
o vie; se efficaci, saranno poi codificate e protette da var lignaggi
e tradizionalizzate
[16]
Quanah Parker, dei comanche Kwahadi, nacque da Cinzia Ann Parker,
prigioniera bianca. Eloquente e istruito indiano della riserva
dell’Oklahoma, istituendo il culto del peyotl per la cura e il
recupero dele identità culturali delle tribù delle pianure, sfidò i
voleri e poteri delle organizzazioni Ecclesiastiche e delle Società
Missionarie USA che pilotavano l'Ufficio per gli Affari Indiani
[17] nel 1869,
Capelli Grigi, sciamano Paiute, rivelò l'avvento di un Messia
indiano che avrebbe donato l'immortalità agli esseri umani cancellando
ogni distinzione tra le razze in una cerimonia collettiva (danza degli
spettri), durante la quale si entrava in trance e ciascuno poteva
comunicare coi propri cari. Tale potere avrebbe protetto gli indiani
da un imminente olocausto causato dai bianchi. John Slocum annuncio
agli indiani d'essere morto e risorto, grazie alla devozione di sua
moglie Mary che per tutto il periodo del suo coma, aveva danzato
accanto a lui, cadendo preda di frequenti convulsioni e stati di
trance. Nacque il movimento degli Shaker (i tremolanti) sincresi di
tradizioni nord-indiane ed elementi cristiani. Nel 1890 Ghost Dance
riprese slancio grazie a Wovoka, carismatico sciamano Piute, ma fu il
pretesto per l'arresto, e poi la morte del capo hunkpapa Toro Seduto |
Duran comunitaria, Festa dei Primi Frutti Canta lo sciamano, leggèn di Watakàme che incontra la Ragazza, del Mais-Azzurro scoperta di pianta, che porta nuovo frutto
Tal mito Wiràrika, segna un passaggio dalla nomade vita, allo stanziale villaggio Watakàm cacciatore, è l’errante antenato Del popol Huichole, che ad esso è rinato
I contadin della Sierra, seguono tuttora I magi rituali, della Ragazza-Mais-Azzurro Per semina e raccolto, del mais cibo base Marino Benzi narra, il ciclo intera fase
Watakàme viveva, dentro una capanna Sui fianchi soleggiati, d’una gran montagna Insieme a una vedova, che l'aveva adottato Nomade cacciatore, d’arco e frecce armato
Percorre ogni giorno, serpeggian sentieri Fra le gole dei monti, a cercar selvaggina Incontro un bel dì, una giovan forestiera Riceve bevanda, in zucca ciotola piena
“Bevilo sii sazio, è una Pianta della Vita! Insieme genitori, io sto in Collina Azzurra” indomani Watakàme, prega aggiusta l'arco con la faretra in spalla, va cercar incanto
Ai due lati sentiero, che saliva a zigzag Sui declivi del colle, vede alber quà e là E distese coltivate, di mais più differente Sulla cima una casa, dal tetto spiovente
Watakàme osservò, con stupor le pianticelle alla brezza della sera, giunse presso il rancho gli venner incontro, gli anzian Signor del Mais che gl’offrirono scodella, di buon bevanda sai
“vorrei comprar, un po' del vò alimento... ho solo per pagarvi, mazzetto di frammenti di pino resinoso che uso a mo' di torcia le notti buie assai, con arco alla tracolla”
il vecchio gli rispose “disseta alla sorgente” e agitò lo scettro, di penne in sue casette dove uscì ragazza, che venne lor incontro Yoawìme Mais-Azzurro, nome tien da conto
seguir ti piace Figlia, tal giovan cacciatore? Padre se tu lo vuoi, allor pur io lo vorrò Così che Watakàme, iniziò la nuova vita Divin compagna inizia, il rude cacciatore ai mister d'agricoltura, semin raccoglitore
Gli insegna preparare, atole bevanda mais Con le gallè granturco, ovvero le tortillas gli mostra ornamento, per case magazzino e propiziar le sacre, pannocchie mais divino
Watakàme liberato, da nomade incertezza Segue suoi consigli, e disbosca var pendii con la sua scure in pietra, accende poi falò nel centro dello spiazzo, dei punti cardinali a ridur velocemente, in cenere i boscagli
con fertile tappeto, di cenere or è pronto perfora Mais-Azzurro, il suol col suo bastone depon granelli mais, in terra mentre invoca benedizion di Gaia, per ogni seme ancora
Di lì a poco spuntavan, tener pianticelle Wata ringrazia, Madre-Terra Sol e Fuoco Assiem le capricciose, Divinità di Pioggia affinchè proteggan, la pianta dal vento da insidie invisibi, del tenebroso tempo
Al tempo raccolto, trasporta pannocchie Nelle orator-casette, a mezzo mecapal Una banda pelle posta, su fronte e spalle su cui sospeso è, cesto in bambù canne
ma Watakàme infine, perse compagnia di Mais azzurro pupa, e rimane contadino che duro ancor lavora, con gesti e le parole ciclo inter del Mais, la fame ancor rimuove
Rivivon l’epopea, antica di Huatakàme Nei campicelli sparsi, sassosi con calcare A Giugno prime piogge, semin si può fare assiem fagioli e zucche, màis può legare
Un piccolo cratere, è a centro campicello Raccoglie varie offerte, e sangue di animali Con musiche più canti, rallegran gli antenati Il fumo di sterpaglie, s’unisce a nubi strati Santa Rosa Veracruz, è la madre del mais Abbandon suo bimbo, che sarà il signore Di forza della pioggia, tuono e dei serpenti Protettor di terra, del cervo padre intendi
Dea Hatzimouika, tutelare del peyotl [8] Stella del Mattino, dipinta nei suoi piedi Peyote pur maschile, Tamaz Kallaumara È cervo blu signore, li tra i Tarahumara
Cervo celestiale, è chiamato Káuyümari sacerdote huicholes, sarà un Maràkame Raccon di Káyümari, sviluppano l’huichole L'anima del cactus, mette il vero in cuore
Káyümari col suo sangue, feconda la terra da cui rinascerà, nel mais ovver granturco Il cuore da cui sgorga, suo cibo della vita Hïkuri è chiamato, o cactus che confida
Comunità d’Huicholes, popol pellegrin Parton da montagne, Jalisco e Nayarit Van a Real Catorce, San Luis de Potosì Al deserto Nirikuta, a cacciare l’hïkuri [9]
La caccia del cervo, detto in loco Marra S’offre a Madre Terra, Tàtei Yurienaka Dove il cuor rinasce, in forma d’hïkuri O come granoturco, ovvero mais di lì
Cacciano per questo, cervo con peyotl Per aiutar il mondo, a rigenerar ogn’anno L'uomo con la donna, e il bambin huichole A mezzo loro cuori, cervo nasce e muore
Peyote Cervi e Mais, cuore degli Huicholes E del viven pianeta, che invisibile sorregge Forze che latenti, dan vita a tutto il mondo Sazian desideri, del cuor uman profondo
Coglimi qual pianta, a mezzo di tue mani Mangia la mia forza, e sete e fam evadi Io sai ti guiderò, fin dentro la tua casa Porta me qual pace, a tua tribù rinata
Luce del gran fuoco, brilla gran teepee È il capo della via, aspettan sedeva lì Fummo i benvenuti, seduti sul terreno Nel circolo dei canti, nativi e forestiero
I canti del Peyote, ricevon accompagno Da tamburo ad acqua, in rapi percussioni Suo tono allor risuona, di spiri risonanza Canti son preghiere, offerte nella danza Cantati son in gruppo, fuor di significato[11] Con ritmo ton accento, da tutti conosciuto S’aggiunge suon sonaglio, scosso da cantor Ciascuno avrà suo turno, nel cantar ancor
Peyote è benedetto, e in circolo passato Così com il tamburo, a turno vien sposato Ognuno può mangiar, liber quanto vuole Gli effetti del rituale, salgon col calore
Guida vocalizzo, che salgon e fan l’eco Acqua del tamburo, energia di pelle daino Ritmo del sonaglio, e piume a spirar vento Sottile verso il fuoco, in lento movimento
Inizia medicina, a parlare al tuo sistema Ti purga nel bisogno, in vomito esternare Dopo ti senti meglio, ritorna l’attenzione Sparisce l’ansia vana, è vital ristorazione
La medicin tepee, ci riunisce nella notte A trovar significati, nel cuore di ciascuno Intuito rivelato, realizza ogni esperienza Cresce l’empatia, amicizia consistenza
L’incontro di peyote, lo guida il roadman Uomo del sentiero, aiuto apprendimento V’è pur l’uomo fuoco, l’uomo del tamburo Donna madre acqua, a dissetar ciascuno Il capo del Sentiero, panno avanti stende Allinea oggetti sacri, ventagli pium fagiani Tambur sottil bastone, ornato con perline Salvia fumigazio, e tabacco mais cartine
Digiun e solitudi, e calma contemplazio Ingerita è medicina, secca infusa in tè Vigili si resta, in attesa del messaggio Spirito con corpo, ricevono un assaggio È l’altar di sabbia, a forma lun crescente Medicina al centro, che guida le preghier Stessa appar la strada, della sacra via I canti condivisi, accrescon l’empatia A mezzanotte il capo, esce dal tepee Soffia aquila-osso, alle quattro direzioni acqua vien portata, benedetta e condivisa Un pò versata a terra, per dissetar l’amica
Suono del fischietto va in ogni direzione Dentro la testa, rimbalza contro il cranio Nausea opprimente, angoscia della morte liberan pensiero, da suo monopolio forte
Strumento per fischiar, un aquil ossicino Piume qual ventaglio, tambur ad acquolin Tabacco da fumare, e l’alcool da evitar Ricerca di visione, in gruppo e solitar
Gioia e fede brilla, sul volto dei riuniti E il godibile mattino, porta il ven Divino Irrompe nel tepee, su fuoco scoppiettante Eco d’esperienza, primaria ed importante
L’essenza del rituale, è cerimonia o festa Nataraja nel tepee, ritrova la sua infanzia Esperienza rigenera, imprinting duraturo L’eco all’iniziando, disseta ancor futuro
La molla che lo spinge, è la motivazione Un test d’ammissione, o prova iniziazione Comunità fa scopo, in divine comunioni Desider a riunirsi, a emozioni e visioni Or Chiese dei Nativi, l’hikuri fa rinati Costellazion di culti, autonom federati Rituale medicina, destata da un nativo Quanah Parker fu, Comanche curativo In Messico guarito, da cactu medicina Esporta in nord Ameri, pei popoli nativi Uccisi d’alcolismo, vaiolo e sculturazio In crisi identità, e senza sacro spazio
Raccolsero sfida, immane guarigione Di spirito gruppo, facean rifondazione Per alleviar curare, la crisi esistenziale Trovaron medicina, nel medico cactale
Profeti tra i Paiute, Cheyèn Navajo pur Fecero esperienza, del rito Tarahumara Ideò la Danza Spettri, il mitico Wovoka Annunci del messia, liberazion invoca Un visionar Lakota, sognò una profezia Animali torneranno, al ventre della Terra Un pò vivrete tutti, in più steril case grigie Finche nuova era, vecchi ego sconfigge
Tutti allor possiamo, iniziar a riparare Il Sacro Cerchio Vita, visto d’Alce Nero Salvar tutt’assieme, la Madre Terra Gaia Che nutre intera vita, oltre egoica maia
Valori universali, son base di ogni rito Entro ad ogni gruppo, empatico convito Tambur e piante, non sono sacri a priori Ma in quanto del giocàr, son facilitatori
Motivazione è ponte, verso trascendenza Venere trasmette, tu accetti e ti fai danza Poi il codice rituale, conserva a ogni tribù Il mito fondatore, e il processo ludi pur
Lila del dio-bambino, gioca lo sciamano Medium eremita, a coraggio consacrato Fissa in intenzione, amor di propr’imago Semplice il divino, gioca a esser rinato
[18] Pablo Picasso, nel’incontro con statuette dell’Africa tribale, mostrategli da Matisse, cambia stile: “a 13 anni dipingevo già come Raffaello, ma ho impiegato tutta la vita per dipingere come un bimbo”. Figlio d’arte, incontra l’africa essenziale e pregnante di significato; disimparò la tecniche d’accademia e approdò al cubismo quadrimensionale dove, ricalcàn l’artista africano, il messaggio, ritrova l’essenziale per veicolare un ideale generale nel prodotto particolare (maschera o feticcio) in tutta la sua forza espressiva e ancestrale . [19] Il tagliaboschi è lavoro duro, individuati gli alberi da tagliare, si abbattono a colpi di accetta, poi si tagliano in tante piccole parti che, con un carretto o un asinello, si portano all’abitazione dove saranno sistemati sotto una tettoia; la catasta dello scorso anno viene preparata per fare il carbone.
[20] A Viterbo, l’appalto della panetteria a volte conviene a volte no, così la città introduce incentivi e sovvenzioni volte a garantire alla popolazione un minimo di pane a prezzo calmierato, onde evitare tumulti e insurrezioni. Il comune acquista grano che gira all’appaltatore a patto che garantisca il servizio quotidiano del minimo richiesto dalla città. Sono interessati all’appalto del pane anche gruppi estranei alla città, specie durante periodi di crisi, poi, quando il ritorno finanziario si fa più grasso, gruppi locali gestiscono il tutto. Le affollate botteghe-mulino delle città, di proprietà di poche famiglie che le danno in affitto a chi paga tassa macinazione. I cittadini potean fare il pane pagando una decima del pane, ma gli stranieri che abitavano in città, non erano autorizzati a meno che non avessero una loro casa e svolgessero un lavoro continuativo. Il divieto di fare pane e venderlo, era sospeso solo per la visita del vescovo o papa e durante le fiere. [21] Per grave carestia e penuria di pane, tutti gli agricoltori e proprietari di terre coltivate, erborate o smacchiate, devono licenziare entro 8 giorni tutti i lavoratori non originari di Viterbo sotto pena di multe, mentre si ordina a Castellani, Aquilani, forestieri e vagabondi, di lasciare la città entro 3 gg. Nel 1648 la presenza dell’esercito pontificio, che muove nell’alto lazio nel timore di un attacco della flotta francese, tenta di limitare le scorribande di briganti e banditi che vagano per il territorio, e intima agli uomini di campagna di nascondere il pane che hanno. I soldati potranno acquistare solo una quantità di pane nei mercati o forni pubblici. [22] Il frumentone dà un pane azimo, focaccia appena riscaldata sotto le ceneri. Veccia ha foglie pennate e fiori violacei ed è usata come foraggio. Il Panico è graminacea dalle pannocchie compatte e semi più piccoli del miglio. la spelta è il farro. [23] Le graminacee, famiglia di 9000 specie vegetali, 635 generi, son tutte quelle erbe che hanno la foglia a forma di filo d'erba (prima di formare spighe e spighette), tutti i cereali coltivati nel mondo vi appartengono: riso, grano, mais, orzo, miglio, canna da zucchero, bambù, cedrina. Dotate di radici primarie fibrose e radici avventizie che fuoriescono dai nodi del fusto erbaceo, rigido o cavo, con midollo (mais) o legnoso (bambù) crescono in tutti gli ambienti a varie dimensioni: dal bambù gigante (40 m) alla fienarola dei prati (max 10 cm). Molte impollinate dal vento, non necessitano di corolle appariscenti per attirare insetti e uccelli impollinatori e hanno fiori piccoli e semplici, spesso riuniti in grandi infiorescenze a forma di spiga o pannocchia. Tutte le erbe da prato sono miscele di semi di graminacee e son tutte buone per alimentare conigli, cavie e porcellini (es. coda di topo e coda di volpe), hanno alto contenuto in fibra e scarso in proteine e calcio. [24] i punti di crescita (tessuti meristematici) di queste piante, sono alla base e non all'apice della pianta, pertanto non vanno perduti con il taglio dell'erba. Tra le specie più coltivate a tale scopo a varie latitudini: fienarola dei prati (Poa pratensis), i generi Agrostis, Festuca, Zoysia e Cynodon dactylon. Specie rustiche e arido-resistenti sono la Buchloe dactyloides, la Axonopus affinis (seminata su terreni scarsamente drenati), Agrostis gigantea (a crescita rapida, usata in prati veloci). [25] Le infestanti a foglia stretta sono graminacee del tappeto erboso, a eccezion del pabio, Setaria, Digitaria Echinochloa, graminacee annuali a sviluppo estivo, tenaci quanto quelle a foglia larga. Le infestanti a foglia larga (piantaggini, denti di leone, trifogli) han efficaci sistemi di disseminazione e apparato radicale fittonante, competitivo nella ricerca dell'acqua ed elementi nutritivi. [26] Nel mondo si producono annualmente oltre 550 milioni di t di riso su 150 milioni di ettari, prevalentemente nelle regioni a clima caldo e molto umido dei tropici e subtropici, dove gli altri cereali non prosperano. Quasi tutto il riso coltivato nel mondo appartiene alla specie Oryza, in Africa è originata e coltivata l'Oryza glaberrima. Oryza sativa è ricchissima di varietà in 2 sottospecie: Oryza sativa indica e Oryza sativa japonica. I risi indica sono molto sensibili al fotoperiodo (brevidiurni) e adatti ai climi tropicali (tra 0° e 25° lati), hanno ciclo lungo, sono rustici ma soggetti all'allettamento e la granella è lunga, stretta, appiattita, resistente alla cottura e non incollante. I risi japonica diffusi nelle zone temperate, poco sensibili al fotoperiodo, hanno esigenze termiche minori ma maggiori esigenze nutrizionali; la paglia è corta e robusta; ha produttività elevata; granella corta e tozza, poco resistente alla cottura e tendente ad incollarsi.
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In agrobuti caccia, rituale d’un posto Arma è la forca, preda è il bioraccolto Mappa è il calendario, sinergi fenologo Totem i sostegni, aiuole alberi d’uopo
Linga e yoni, tra corridoi sentieri zen Costumi sono le tute, guanti e calzater Maschere su terra, orientan num divino Con musica sonagli, fuoco argil caolino
È l’Uno per tutti, e il tutti per uno Perenn filosofia, nel meditar gli archè Forza di antenati, che forgia identità Negli organismi dice , nulla vien e và
nell’Africa tribale, veicolan messaggi Maschere statuette, d’antenà passaggi Orientan loro Qi, muovendo fan lavoro In danze e riti vari, forza con decoro Maschera d’agguato, fa la formazione Per educare i figli, a far l’emulazione La tattica funziona, se resta nel segreto gruppo nell’intesa, mantiene vivo il velo
Carota con bastone, inclusio od esclusione rafforzano o dan freno, a fiato o condizione Rispetto o canalizzo, del flusso dirompente Nei corpi di natura, richiaman viva mente
Divino è percepito, pure ogni momento Dono della grazia, spesso vien chiamato Il poeta ci rivela, che ognì rivelazione Vivila indiretta, resiste alla ragione
Sardo contadino, artigian della terra Veste in fustagno, in velluto e cotone Scarpe ha di cuoio, chiodati a stivaletto Ditali cuoio o canna, pei colpi di falcetto
Ogni contadino, ha vigna orto e campo L’olive l’api e un bove, e legname tanto Vigna e messe, vendemmia e mietitura Danno vino pane, spremur macinatura
Kurrènti de s’annu, è sistema di auspici Rasna portan seco, per osservare il clima Il mese di settembre, prevede tutto l’anno Primi dode giorni, ciascuno mese danno
Gennàrgiu sikku, messàiu arrìkku E Gennàrgiu pròiosu, messàiu tingiòsu Inizia l’anno agrario, settembre cabudanni Preparano i terreni, per semin senz’affanni
Sa bidda è villaggio, tra grandi campagne Autosufficiente che, ha forme rotondine Se sta sui monti, al territorio s’adatta E la comunità, n’è padrona compatta
Sa bidda ha d’intorno, orti e Su sartu Una fascia di vigne, di mandorli e olivi Poi è terras abertas, proprietà dei nativi Lo spazio comune, per pastor contadini
Bosco e pascoli, coltivo e allevamenti Zona divisa, ogn’anno in due parti È il bidazzone, con gran cereale E il paberile, a riposo o con fave
L’anno seguente, s’invertono zone Dopo il raccolto, si fa pascolazione L’uso comunitario, delle terre aperte Neanche si fermò, con leggi chiudende
Abitanti di bidda, sorteggian le abertas Tra i capifamiglia, e sorveglian la terra Assiem barraccellus, vigilantes pagati Assicuran così, gli usufrutti assegnati
A metà di settembre, l’estate è finita Tutto sia pronto, all’arrivo d’inverno Sveglia nell’alba, per le stalle pulire Legna smacchiare, spaccar e riunire Una tazza di latte, e pan di 2 giorni Maschi son fuori, a governar animali La Lina riassetta, il letto e poi l’orto Bada a galline, e ne coglie raccolto
Fa Lina conserve, fagiol e pomodori Olive in salamoia, patate là al riparo Poi carica la stufa, per pomi far bollìr Tramonto rientran tutti, cena sa riunìr
Piatti terracotta, bicchieri una pignata Patate sotto brace, formaggi e vino bon Minestra farro e ceci, marmellata bolle pur Dopo cen al caminetto, racconti d’avventur
A fine settembre, semina il trifoglio novembre grano fave, dicèmbr’orzo voglio lentì leguminose, raccogli a giugno luglio Mieti avena e poi, l’orzo a fine giugno
Per semina autunnal, usan zappettar Picconi pale e zappe, rompono le zolle Puliscon campi avena, seminan Natale Orzo e lenticchia, e zappano le fave
Semina gennaio, ceci qualche ortaggio Cardi e cavolacci, li dà stagione intera Maggio poni ceci, dà semenzai agli orti La fava favorisce, coltur cereali forti
Il Frumento affianca, l’orzo e la spelta Così mais le zucche, e legumi con zuppe Fagiolini e fagioli, ceci fave e lenticchie Essiccate proteiche, di sclerosi nemiche
Un anno di spelta, un anno a maggese 3 quintal prodotto, in un quintal di seme Laggiù nella maremma, l’aratro è di legno Pratican sovescio, e delle stoppie incendio
Raccolto grano farro, all’aia vien battuto Da pula separato, in granaio ammassato Molito poi a mulino, lungo ruscelli d’acqua Ruota aziona mola, che il chicco ti scassa
patron d’Agricoltura, dicon Trittolemo che Cerere sua madre, culla ed accarezza Lo incanta per 3 volte, disten sul focolare Lo copre con la brace, al fin di farne pane
In tutt’Europa perdura, l’usanza di creare origami con spighe, cavallo gallo e cane Al 21 agosto si rifanno, tal spiriti cereale Saturno Consualia, Consus nume tutelare
Produrre vender pane, industria alimentare Da cui dipèn controllo, d’appalti e della fame Poter per mantenere, social consenso e pace Gestito da più gruppi, economi a governare Duran le carestie, vietato era ai fornai Di far biscotti vari, e agli osti ospizi vari E bandi ai forestieri, che intima a partire lasciar città in 3 giorni, sen pane far uscire Sopravvivenza di ciociari, dipese da pane ricavato da farine, di lupini veccia e ghiande dal sapore forte-amaro, e difficil digerite l’aiutan le cipolle, legumi e ortaggi pure
Tal pane sol riduce, fame insurrezionale Frumenton per guerre, carestie calamità Era mais mischiato, con cereal del posto Legumi miglio spelta, veccia segal orzo Graminacee son fonte, primaria di cibo Di erbivori selvatici, e domesti ruminanti Che brucano l'erba, nei pascoli o via fieno Raccolto in insilati, assiem legum intero Producon graminacee, miscugli semenze Per tappeti erbosi, perenni in meristema [24] Nel mondo diffuse, minuscole o gigante Dai tropici ai deserti, fino al polo grande
Abbondan alla tundra, steppa e savana Foreste e praterie, ed habitat dell’acqua Vivon galleggiando, su acqua senza suolo Giungon a deserto, coi venti del sorvolo
Infestanti divise, a foglia stretta o larga Prato è graminacee, foglie lunghe strette Segnala la presenza, di scarsa irrigazione Invece foglia larga, disorde apparizione Oryza sativa è, buon Riso antica pianta Origina in sud-est, dell’Asia e d’Etiopia [26] Acque a basso costo, fanno l’espansione Fiore ermafrodito, autogàm fecondazione
S’alza per un metro, e toller saturazio d’acqua nel terreno, e giunge a maturazio In 5 oppur sei mesi, e fa la germinazio Sui dodeca gradi, e sui ventitré fa sazio
Scende fabbisogno, durante granigione Sensibile a escursioni, termo giornaliere Fotoperiodo chiede, 20 ore luce giorno Ai 15 s’adatta, sua varietà in contorno I semi germinati, dentro acqua pulita Là nei semenzai, per dar più pianticelle Semèn selezionati, da donne spighe grandi Che prima del raccolto, vagano fra i campi
Piantine trapiantate, raggiunte dimensioni Mietute ad essiccare, sciolte od in covoni Trebbiatur le sbatte, a terra o assi di legno Son chicchi ricavati, spulati in ceste vento
Riso ben si adatta, a ogni tipo di terreno Sabbioso od argilloso, neutr’acido alcalino Purchè vi sia dell’acqua, per intervenire Nei casi in siccità, o paludi a non finire Seminato in aprile, giunge a maturazio Secondo varietà, a settembre o fin ottobre Poi fan l’essiccazione, artificio entro 20 ore A industrie vien ceduto, della raffinazione Riso ha sapor dolce, natura neutra fresca A stomaco da tono, e pancreas pure nutre Il suo qi calma la sete, leggèr stimola i reni Ha effetto antidiarrea, se integro te le meni
Orzo Hordeum vulgare, più antico cereale Fermenta e da la birra, grazie al cerevisiae Già usato a preparare, una salutar tisana Mischiato a grano nutre, hordearii romana Economico cereale, sopperisce ogni spazio È cibo delle masse, per carestie e disastro Resiste ben al freddo, la varietà invernale Da etiopico altopiano, diffonde suo areale Hordeum spontanem, comprende var specie Perenni od annuali, pionièr fin sulle sabbie Incolti oppure prati, e ai margini di strade In estiva siccità, tien ciglia assai ristate Ci dice Columella, che l’orzo va piantato In suolo fertil grasso, o povero assai magro L’impero lo supporta, è strategico alimento Cresce nella pace, se non può il frumento S’accorcian le giornate, ritmo vita cambia Or tutti si rincasa, alle 5 e alle otto a letto Tutto muta e gira, in funzion del sole lume Carbon e legna pronti, polenta al sugo pure
Famigl’adatta a clima, animal pure letargo Camino sempre acceso, bracieri giran tanto Raccolto andato bene, quest’anno generoso L’inverno quel passato, fè l’orzo rovinoso
Terra nutre piante, piante creano suolo Fan fertile attraverso, lor radicali essudi Gli organici residui, assiem microrganismi Attivano terreno, batter funghi lombrichi
Piante in terra ed acqua, formano la base Piramide vitale, sostengon le altre forme Sviluppano materia, organica e nutrita Comunità di vita, nel suolo in sinergia L'agro-sinergia, vien da osservazione Processi naturali, e presa di coscienza Della necessità, di mantenere il suolo Autonomo organismo, etero autotrofo
Sa rigenerarsi, mettendo in relazione Gli elemen presenti, sul selvaggio suolo Senz’alcun lavoro, benesser si trasmette A piante che su esso, crescono protette
Empatia sviluppa, con l’organismo suolo Programmazion colture, pratica in rispetto Degli organismi al suolo, dinamici e sensibi Emilia insegna l’orto, dei semplici invisibi
Or prepara il suolo, che fu destrutturato Coltura di patata, coperta in carton paglia Coltivazion pacciante, mantiene umidità Attirerà i lombrichi, a riportar fertilità
Perenne fertilizzo, è continua copertura Di suolo che riaquista, l’organica fattura Coltiva le annuali, qual complementari Scorda l'aratura, e altrì disturbi vari
Niente fertilizzanti, diserbi od aratura Non serve compostura, persino potatura Gli insetti sono amici, di inter comunità Controllarli bene, ma sterminar non dà Alberi mimose, con pian leguminose Lavorano terreno, concimano profondo Trifoglio e cereali, invernali e primavèr Semina in comune, dentrò pallin a sfèr
Prima mieter grano, mese di settembre Semina trifoglio, con orzo questo serve Le pallin d’argilla, o i semi di tra i fiori Badan roditori, e più passeri ladroni
Spargi palle grano, prima di novembre Tra germogli d’orzo, di semin precedente Alla mietitur di marzo, trebbia e spulatura Pagl’orzo torna al campo, simula natura
Preserva umidità, e riduce ben l’erbacce Degenera più in fretta, in pollin di gallina Così germoglia grano, tra la paglia d’orzo Protetto cresce bene, con naturale sforzo
Osserva la tua terra, sole venti e piogge Misura le tue forze, non muovere più ruote Energia d’eccesso, confonde e spreca tutto Non correre vai piano, natura porta frutto
Sufficiente bestiame, e sana rotazione Alternanza di piante, e consociazione Sovescio e concimi, piante scavatrici Che più costipazioni, risolvono felici [27] Il riso, pur non essendo una pianta acquatica, è adattato alle zone umide dei tropici e subtropici soggette a sommersione. La temperatura deve essere elevata e costante in quanto il riso risente grave danno degli sbalzi termici. Agli equatori si fanno anche 2-3 raccolti all'anno. Nei climi temperati l'unica stagione di coltura possibile è primaverile-estiva con l'ausilio di irrigazione termoregolatrice. Il riso può essere coltivato senza irrigazione (upland rice) solo dove cadono regolar.più di 200 mm di pioggia al mese per almeno 3-4 mesi. In Italia (clima è temperato e precipitazioni insufficienti), il riso è coltivato in terreno sommerso, si da soddisfare le elevate esigenze idriche della pianta e offrire scambio termico con l'aria, cedendo di notte e nei giorni freddi il calor accumulato nei periodi di insolazione. Con la sommersione l'escursione termica giornaliera di 10-15 °C vien ridotta a 3-4 °C. Nella coltivazione tradizionale del riso, l’acqua piovana è raccolta sui campi dall'ubicazione più elevata, l'acqua alluvionale è arginata con dighe di terra e l'acqua di fiumi, laghi e serbatoi, vien prelevata a secchi e portata ai campi. Durante i lavori di preparazione, nei semenzai germinano le pianticelle mentre i bufali indiani, in un lavoro estenuante per persone ed animali, tirano l'aratro nel terreno fangoso, incitati dai contadini, e le anatre affamate si nutrono di farfalle e larve parassite del riso [28] Il consumo d'acqua nella risaia italiana dipende da minore o maggiore permeabilità del terreno e non c'è regola generale precisa. La flora infestante delle risaie è di tipo palustre: alghe verdi e azzurre, piante acquatiche, giavoni e riso selvatico. Le alghe verdi formano un feltro galleggiante che ostacola l'emergenza delle piantine di riso, le cui foglie, restando invischiate nel feltro algale trovano difficoltà ad uscire alla luce. Quelle azzurre formano il feltro prima sul fondo, dove le plantule di riso stanno compiendo il primo sviluppo, per poi sollevarsi diventando galleggianti, le plantule vengono sradicate e portate in superficie dove le aspetta il rischio di essere spinte alla deriva dal vento e dal moto ondoso, finendo ammassate nella parte sottovento del campo. I giavoni comprendono graminacee del genere Echinochloa e sono le infestanti più frequenti e invadenti. Il riso selvatico o crodo, dissemina granella (crodatura) presto, già dopo la maturazione lattea, determinando nel terreno una carica incontrollabile in mezzo al coltivato. Per entrambe queste specie la lotta si basa sulla tattica della «finta semina» e ritardare la semina del riso a dopo che siano emerse e controllate. Tra i parassiti: il brusone (fungo Piricularia oryzae), sindrome molto varia che colpisce precocemente le foglie, i nodi o il colletto, favorita da elevata umidità dell'aria, eccesso di azoto, semine fitte e abbassamenti bruschi di temperatura. L'impiego di varietà resistenti è la prevenzione più efficace. [29] La lavorazione del risone (chicco integrale post trebbiatura), avviene via sbramatura (distacco dalla cariosside delle glumelle, che vanno a costituire la lolla); sbiancatura o raffinatura (si allontanano gli strati esterni del granello e l'embrione o gemma, con ripetuti passaggi alle macchine. Il riso raffinato, bianco e conservabile, può subire il parboiling per dar resistenza alla cottura, e trattamenti di oleatura e/o brillatura. Il riso raffinato, oleato o brillato, è venduto per alimentazione umana; quello sbramato per la fabbricazione della birra. La paglia è destinata alla fabbricaz. di cellulosa da carta. Da 100 kg di risone lavorato si ricavano 65 kg di raffinato. La lavorazione modifica la composizione del riso, oltre che della lolla, la cariosside viene privata del pericarpo, del germe e dello strato aleuronico, perdendo cellulosa, grassi sostanze minerali e proteiche. Prodotti della lavorazione: -Riso greggio, senza lolla, conserva pericarpo ed embrione. -Riso sbramato speciale (semigreggio), sbiancata incompleta -Riso mercantile da consumo (due passaggi di sbiancatrice). -Riso raffinato bianco, ,passato 3-4 volte alla sbiancatrice che ha privato completamente la cariosside. -Riso oleato, riso raffinato oliato con olio di lino o vasellina. -Riso brillato,raffinato reso brillante con talco e glucosio. |
Farro e Mais, falcia a metà gambo Su stuoia metti, a seccar pannocchie Con mani o piedi poi, vai a strofinarle Rilasciano chicchi, quest è il trebbiare
Spula con cesto, separar chicchi e pula Raccogli granella, sacchi iuta conserva In luogo asciutto, or cucina in due modi Zuppa toscana, o pesta sfarin tortilloni Triticum dicoccum, è farro spelta pane Usato da Ezechiele, e genti pre-romane Cuore della dieta, e del rito cumfarreatio Solenni nozze dove, assiem è consumato
3 Farri son frumenti, vestiti con la crusca Per renderli ora nudi, si fa la sgusciatura Rustici adattanti, alle zon più marginali Custode l’Appennino, e val pedemontane Il Farro piccolino, dai monti d’Anatolia Giunge con i Rasna, emigranti dalla Lidia Sfugge clima secco, di sotto alle colline Ama le montagne, a cui offre proteine
Farro medio pur, viaggia fin al Caucaso In Italia il più diffuso, adatto al clima duro Local stagione sceglie, a far la produzione Autocton si tipizza, in areal coltivazione Farro grande poi, discende dal Mar Caspio Produce più del medio, ma adattasi di meno Assente nell’Italia, in Europa vien smerciato In normal decorticato, e il perlato raffinato È semplice coltura, erba medica le basta Non chiede ne concimi, trattori od erbicidi Neppur la rotazione, sol semin autunnale O quel primaverile, a spaglio naturale Assai competitivo, rispetto le infestanti Raccogli metà luglio, sin la metà di agosto Trebbiato lentamente, covon deposti a terra Da piedi ballerini, e granella n’esce bella
Pianta Glycine max, è Soia leguminose È papilionacea estiva, dell'Asia originaria Coperta in peli bruni, eretta o cespugliosa Radice fittonante, che penetra orgogliosa
A un microbo simbionte, radici fanno spazio Rhizobium japonicum che fiss’azoto in cambio Colore bianco o viola, le racemi infiorescenze Foglie trifogliate, autogam fecond’essenze È giunta dalla Cina, e l’olio sa produrre Acqua pur consuma, metà di quel del mais A terreni è tollerante, e a salinità modesta Se nuovi tu ricorda, inocular l’enzima festa È pianta che migliora, tu pianta dopo l’orzo Semina entro giungo, in periodo primavera S’è normale nodulata, per azoto autosuffice Raccogli a semi scuri, e defogliata superfice
Tra prodotti derivati, dal seme inter di soia Latte estratto in acqua, dal seme or macinato A caldo alfin bollito, se vuoi poi è coagulato Con sali di magnesio, ò aceto è Tofu nato
Stagionatura segue, per tofu soi formaggio Con soia piccin seme, germogli puoi mangiare Se i sèm decorticati, due giorni a fermentare Coi fungi Rhizopus, dan Tempeh d’affettare
Cicerchia è granella, vien da Med’Oriente Legume che produce, latinismo scossarella Neurotossi convulsioni, con parali simulata In umani e bestie, s’eccesso vien mangiata
Annual ramificata, portamen semiprostrato Steli glabri e alati, e foglie altern oblunghe Suo baccello 2/3 semi, assomiglia al cece Sapor più delicato, vitamin B e pp contiene
Adatta terre magre, ciottolose sen ristagni Più rustica dell’altre, produce sen risparmi Piantata nell’autunno, giugno-luglio raccoglie Venti caldi le fan danno e i parassi delle foglie
Cece esiste coltivato, pur antico rinomato È legume da granella, locale è consumato [43] Ricco in proteine, ha la radice ben profonda Che scende metro giù a resist’arsur immonda
Ha steli ugual cicerchia e denticolate foglie Solitari bianchi fiori, con baccello di 2 semi Fitti peli ghiandolari, verde grigio fan la pianta Aci malico e ossalìco, lei secerne tutta quanta
Tiene semi test’ariete, gialli oppur marrone Tipo grosso o piccolino, secondo suo mercato Se calor di 10 gradi, prontamente germinante Sottoterra emergon su, le novelle ceci piante
Il freddo mal resiste, è seminato a fin inverno Raccolta luglio-agosto, e fiorisce mes’intero Molti aborti pure reca, ma resiste a siccità pure soffre l’eccessiva, presa d’acqua umidità
Cece fugge fertil terre, argillose ristagnanti Con cattiva lor struttura, male tollera pur sale Terre ricche di calcare, lo fan duro alla cottura Med’impasti se profondi, esprìmon sua natura
Fagiolini piselli e fave, son ricchi d’acqua Gran fonte di fibra, acido folico e potasso Han pochi carboidrati, così pure proteine Piselli son dolci, zucchero ferro vitamine
Baccelli fava fresca, o quan pianta secca Raccogli proteine, maggior sui semi secchi Semin primavera, e raccogli a fine giugno È resa dipendente, d’annuale clima turno
Marte Ercole consuma, le fave in purea Prima di affrontare, ciascun delle fatiche Da ciò discende il Macco, piatto pugliese Con cicorie lessate, cipolla cruda e pepe Phaseolus vulgaris, è un frutto legume Baccello che varia, per grandezza e colore Foraggiera simbionte, che azota il terreno Accresce il bestiame, e ci nutre sereno
Un tegumento li copre, vario screziato All’interno ha due corpi, cotiledoni detti Vincolati fra loro, a mezzo di embrione Minuscola pianta, dormiente in azione
I cotiledoni sono, stratagem di natura Magazzino di cibo, per nutrir la creatura Embrione possiede, due fogline con fusto Radice piccina che ama terra con gusto
Non c’è clorofilla, su foglie ancor chiuse Si formerà presto, se apriranno alla luce È pigmento di vita, sintetizza il glucosio A partire dall’acqua, fotoni e carbonio
Un secco fagiolo, in terra umida e calda Comincia assorbire, l’acqua in sostanza Esce radichetta, lacerando il tegumento Terreno conquista, fagiolo in fermento
Poi la radichetta, divide-si in frattale Cerca nel suolo, acqua e sal minerale Radicata la pianta, ha la forza d’emerger Le foglie sue prime, al sol vuole stender
Le radici in azione, fan azion corrosiva Fan solchi nel marmo, bevon linfa salina Hanno mille e più peli, tentacol sottili Nascono e muoion, crescendo continui
Con speciali batteri, instauran simbiosi Rhizobium leguminos, nitrificanti focosi Fanno piccoli nidi, annodati alle radici Tubercoli detti, queste case di amici
Segue anche il fusto, dopo le radici Comincia ad elevarsi, oltre superfici La crosta del terreno, apre a tutto punto Arrampica sinuoso, su alberi e granturco
Residue cotiledon, spinge pure in alto L’aria le raggrinza, e cadono essiccando Emergono da esse, le foglie dell’embrione Che luce e clorofilla, fan verde con turgore
Fusto ha bisogno, avvinghiarsi a qualcosa S’attorciglia salendo, vento aiuta sen posa Trovato il sostegno, vi si avvolge a spirale In rotazio antioraria, sinistrogiro c’appare
Distese or le foglie, la pianta è svezzata Da sola allor nutre, ora è autotrofa nata Darà foglie e poi fiori, bianchi gialli rosati Ermafroditi a farfalla, saranno formati Ama lui terra, sciolta umida asciutta Se c’è la siccità, vien piccin saporito Se piove metà giugno, presto s’è fiorito Innaffia ogni 8 giorni, se non hai capito
Il seme si prende, dal proprio lavoro S’affonda al terreno, sette per buca Ogni mezzo metro, assieme alle canne A inizio settembre, si coglie si spanne
Semina assieme, granturco e fagioli Nei primi di maggio, in file nei solchi Attecchiscono bene, dopo acquazzone Il sole rovente, bruciarne può il fiore
Se la tramontana, a terra le sbatte Con mani umane, riavvolgi alle canne Raccogli immaturi, poi lascia essiccare Al sole o all’asciutto, si dà conservare
In un tessuto iuta, di canapa o di lino Assieme a foglie salvia, o al peperoncino Venti o trenta kili, ogn’anno per famiglia Conserva nei sacchetti, o nella bottiglia
Coleottero insetto, magazzini flagella[46] La femmina in semi, le uova depone La larva si schiude, bianca e si svezza Coi cotiledoni cibi, e ninfa diventa
Quando son pronti, rodon tegumento Con foro regolare, escono dal seme Ridur la concorrenza, prova con l’alloro La cener disinfetta, dai pidocchi in coro
Fagioli là nel mais, or ora più non và Cornacchia e cinghiali, molto mangerà Animali ancora oggi, molto fanno festa Homo cacciatore, ha taglia sulla testa
[30] Plinio riferisce che era molto usato a preparare una salutare tisana, per le minestre, per modesta panificazione e antenato del caffè, scopo per il quale l'orzo veniva talvolta coltivato appositamente in piccoli appezzamenti familiari. Columella lo considera "più salutare del cattivo frumento" e utile nei periodi di carestia, perché più adatto ai terreni asciutti. Tra le varietà, cita il Cavallino, Cantherinum, Galatico che, mixato al grano, è ottimo cibo per schiavi e gladiatori detti hordearii. La raccolta dell'orzo veniva eseguita prima della maturazione completa, per evitare che i chicchi "non rivestiti di pula e sorretti da uno stelo fragilissimo" cadessero nel terreno. La più antica birreria veneta, (Canale d'Agordo), che ha aperto attorno al 1847, causò la conversione di gran parte delle locali colture di patate in colture d'orzo; negli anni 1970 venne acquisita dall'olandese Heineken e la sua storia industriale prosegue fino ai oggi. [31] in Mesopotamia ed Egitto, cereale economico e disponibile per le classi semplici, venne massicciamente diffuso durante la grave crisi agricola dovuta all'aumento della salinità dei terreni irrigui. In Grecia l'orzo rimase il cereale più diffuso a causa della rocciosità e scarsa fertilità del territorio montano. In Italia venne via via relegato nelle zone marginali, poiché sostituito con il più redditizio frumento per la panificazione e con la vite per la produzione di bevande fermentate. Presso i Romani, l'orzo offriva paglia e granella fin dieci volte la semente impiegata. Oggi resiste come alimento base nel Medio Oriente e la prod.mondiale (Int.Grains Council), è al quarto posto dopo frumento, riso e mais (50% bestiame, 20% birra e distillati). Il centro di massima biodiversità colturale è nell'Altipiano Etiopico e nessuna forma coltivate esiste in natura e sebbene interfertili con l'orzo selvatico tutte derivano dalla specie Hordeum spontaneum del Vicino Oriente. [32] Differenze tra le varietà d'orzo sono nel numero di file di spighette fertili presenti in ogni spiga: due (orzi distici), quattro (tetrastici), sei (esastici). Le più comuni in Italia sono: Hordeum secalinum, H. bulbosum, H. marinum, H. hystrix, murinum, leporinum, H. jubatum (spighe lungamente ristate coltivate per ornamento); Hordeum hexastichum (spighette tutte fertili e lungamente aristate, disposte in sei serie), Hordeum distichum (orzo francese o scandella, distico, con spiga lunga e sottile) e Hordeum zeocriton (distico di Germania, originario dell'Abissinia). [33] Molto coltivato nel Sud Italia, nei terreni poveri e aridi in condizioni di sopravvivenza, la semente veniva prodotta localmente e tramandata di generazione in generazione, con il risultato di una gamma di tipi assai variabili fra loro. Nel Nord Europa, il pane d'orzo fu l’alimento base dei poveri, contrapponendosi al pane di frumento consumato dalle classi ricche. La selezione varietale ebbe in queste regioni risultati notevoli: l'inglese Maris Otter e la tedesca Perga saranno alla base del rilancio dell'ordeicoltura nel resto d'Europa. [34] le piante hanno la capacità di trasformare l'energia solare in energia chimica che utilizzano per crescere, metabolizzare e riprodursi, ma hanno anche bisogno d'altri elementi incapaci di produrre direttamente. Riescon mobilitare questi elementi, alterando il suolo attorno alle loro radici; stimolar l'attività di microrganismi, accresce la mobilitazione di elementi nutr.vi. [35] Rivoluzione del filo di paglia in 4 principi: evita di rivoltare e compattare il terreno, tieni superficie suolo sempre coperta, non usare concimi né pesticidi. Gaia è organismo vivente, capace a digerire materia organica e sostener la vita in uno schema d’interazioni globale tra piante, organismi, elementi e uomo. Coltiva l’atteggiamento del ricercatore, piuttosto che esecutore, e una visione globale anziché monocolturale. [36] umidità e calore fanno i chicchi germinare, mentre il freddo li fa marcire. Per le zuppe, (come i legumi) metti a bagno 12 ore prima. Per le tortillas o chapati, pesta a sfarinare e prepara focacce. [37] Fino agli inizi del '900 la loro coltivazione rimase diffusa in alcune valli dell'Appennino e varie zone montane d'Italia: la Garfagnana ai piedi delle Alpi Apuane in provincia di Lucca, e l'area umbro-laziale (valle del Corno, Valnerina, altopiano di Leonessa). Caratteristiche comuni ai tre tipi di farro sono: la fragilità del rachide della spiga e l’aderenza delle glume e glumelle alla cariosside, in conseguenza delle quali, durante la trebbiatura, il rachide si disarticola facilmente liberando spighette intere contenenti cariossidi che rimangono vestite dagli involucri. Per ottenere la granella nuda è necessaria un’ulteriore lavorazione di svestitura (sbramatura). La cariosside vestita (seme integrale), è valida protezione contro avversità biotiche e possibili alterazioni della granella causate dalla piovosità che di norma accompagna la granigione e la maturazione negli ambienti altocollinari. [38] La coltivazione in loco da lunghissimo tempo dei medesimi genotipi di farro, hanno differenziato ecotipi autoctoni con caratteristiche e caratterizzanti, degli areali medesimi. Così i farri di Garfagnana e Molise, dimostrano elevate esigenze di freddo collegate al fenomeno della vernalizzazione e non sono adatti alla semina di fine inverno. Viceversa i farri dell’Italia centrale, sono idonei a semine “marzuole”. [39] Tra i litofagi delle derrate: Tignola del grano delle derrate, Cappuccino del grano, Verme delle farine, Calandra del grano e Acaro delle farine. Il farrotto è cereale "vestito", in quanto la glumetta, pellicola esterna del chicco, ricca di fibre, è perfettamente aderente e quindi non viene eliminata. Il farro decorticato conserva la glumetta intatta, che viene invece eliminata nel farro perlato, che si presenta di colore molto più chiaro e cuoce in un tempo inferiore. La granella di farro può essere macinata per la preparazione di paste, pane o biscotti; in cucina sposa bene ai legumi e verdure, in zuppe e minestre, è ottimo per insalate fredde e farrotti ai porcini. [40] La semina, a spaglio è autunnale, salvo ad altitudini elevate dove viene eseguita a fin inverno per evitare rischi connessi a temperature molto basse. La quantità di seme vestito da impiegare è molto variabile (da 70 a 150 kg/ha) e offre 150-200 cariossidi a metro quadrato. [41] Non tutti danno luogo a frutti fertili, si ha un elevata percentuale di aborti. I frutti sono baccelli contenenti 3-4 semi, di colore giallo, bruno, verdognolo o nero. Pianta in origine brevidiurna (per fiorire ha bisogno di notti piuttosto lunghe), oggi ha varietà precoci che sono fotoindifferenti. [42] La soia entra in simbiosi con un azotofissatore specifico, Rhizobium japonicum, che nei terreni nuovi alla coltivazione della soia è assente. Per questo, quando si vuole coltivare la soia su un terreno che non l'ha mai ospitata, è indispensabile inoculare il seme con apposite colture microbiche. La semina viene fatta a righe distanti 40-45 cm con una quantità di seme atta a produrre 30-35 piante a metro quadrato. L'epoca di raccolta in Italia cade a settembre-ottobre. Per una buona conservazione il seme di soia, in quanto oleaginoso, va immagazzinato con umidità del 12%, altrimenti va essiccato. [43] Pianta annuale aridoresistente che non esiste allo stato selvatico, ma solo coltivato. La regione di origine è l’Asia occidentale da cui si è diffuso in India, in Africa e in Europa in tempi molto remoti. Il cece è la terza leguminose da granella per importanza mondiale, dopo il fagiolo e il pisello. La superficie coltivata nel mondo è di circa 11 milioni di ettari. I suoi semi secchi sono un ottimo alimento per l’uomo, ricco di proteine al 15-25%. In Italia la superficie a cece è scesa a meno di 3.500 ettari, quasi tutti localizzati nelle regioni meridionali e insulari. La raccolta del cece si fa estirpando le piante a mano e lasciandole completare l’essiccazione in campo in mannelli. [44] Macco: purea di favette bianche o fave secche in lenta cottura, in pignata di coccio che ne esalta sapore e colore. Alla purea si aggiunge peperoncino e olio extra di oliva. Per i Pitagorici le fave, poiché prive di nodi sullo stelo, sono un mezzo di comunicazione diretta tra l’Ade dei morti e il mondo dei vivi. Usate nelle cerimonie funebri di Ellade, Egitto, Roma, India e Perù, si gettavano nelle tombe per nutrire e dare energia agli antenati. In Ellade era divieto di mangiar le fave prima dei riti oracolari poiché limitavano le capacità divinatorie. Cicerone e Plinio confermavano che le fave, essendo poco digeribili, convolgessero i sensi nel torpore della digestione e provocassero visioni. [45] Papilionacea, forma a farfalla dei fiori di tutte leguminose [46] Acanthoscelides obsoletus, coleottero che attacca i fagioli immagazzinati da lungo tempo.
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